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 5 <title>Mustafa Sabbagh</title>
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mustafa sabbagh. XI comandamento: non dimenticare<!--title-->
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edizione limitata di 601 copie
collector's edition: 040 copie con fotografia inedita firmata dall'artista, prodotta in tiratura esclusiva di 040

lingua: italiano
pagine: 344 - illustrazioni: 170 + 3 artworks
formato: 33.5 x 23.5 cm - dorso: 4.5 cm
rilegatura: cartonato vegetale in tela del Seveso - collector's edition racchiusa in box
ISBN #978 88 98120 86 4
prezzo di copertina 170€ - collector's edition: 600€


realizzato da: Tipografia Altedo [Bologna]
edito da: Danilo Montanari Editore [Ravenna]
progetto grafico: Aspirine [Ferrara]
contributi critici di [in ordine alfabetico]: Marcello Carriero, Andrea Cusumano, Marina Dacci, Fabio De Chirico, Antonio Mancinelli, Leoluca Orlando, Giulia Pedace, Antonella Purpura, Davide Sarchioni, Fabiola Triolo, Peter Weiermair
coordinamento editoriale: Fabiola Triolo


estratti dai testi critici in monografia
in ordine alfabetico per cognome dell'autore


marcello carriero

«Pensiamo per un attimo al punctum, l'aspetto emotivo indicato da Roland Barthes: in queste opere, l'artista è pronto a creare lo "spettatore sensibile", colui che si rende partecipe dell'esperienza alienante del dramma. Inizia così un percorso di dissociazione, dal momento che il soggetto che si ha davanti all'occhio potrebbe chiedere, oltre che aiuto, anche un possibile scambio di ruolo. Nello stesso tempo, l'azione sommuove una scopofilia colpevole che fa dell'osservatore un aguzzino sovrapposto all'occhio del fotografo. Nel lavoro di Sabbagh, l'occhio passa dalla messa in posa all'incanto, dall'allestimento alla meraviglia, dalla regia alla compassione. Infine, Sabbagh passa dalla composizione all'astrazione, dalla regola del genere alla sua manipolazione estrema, sino alla sospensione definitiva del soggetto in un Realismo Magico»


andrea cusumano

«In fondo, giocare con gli accadimenti è la base di qualunque sano processo creativo. Trovare, cioè, una sintesi tra la propria onnipotenza, quella da cui scaturisce l'idea, e la propria debolezza, che è invece la piccola falla attraverso cui instaurare il rapporto con il mondo. Questa falla si manifesta, nel lavoro di Mustafa, nel rapporto col suo attore-modello che diviene il tramite con cui l'artista entra in contatto con la realtà. Sabbagh restituisce all'immagine quel fascino che solo la realtà trasmutata riesce a dare. Un potere catalizzatore dell'immagine che, paradossalmente, trova nella propria artificialità la cifra della propria autenticità»


marina dacci

«Leggere un'immagine di Mustafa Sabbagh è come vedere le parole di Anaïs Nin. Il suo lavoro prende avvio dalla riflessione sul Sé per divenire voce corale; la tensione collettiva che esprimono le sue opere - anche se nasce da interrogazioni, afflizione, dolore, assenza e lacerazioni - è sempre costruttiva. Il suo amore e il rispetto per i legami col passato, attraverso ciò che la storia dell'arte ci regala, consentono di leggere la sua ricerca come necessità di ritrovarsi, di ritrovare la propria qualità umana nella solidità delle relazioni. Così, il nero di un abisso marino denso e luttuoso può trasformarsi nel nero generoso che sfuma contorni, che elimina barriere e accoglie tutti i colori: un nero liquido intriso di una tensione generativa come le sue fotografie, che aprono la mente a nuovi immaginari, all'idea di un domani diverso, se non migliore»


fabio de chirico

«Tutta l'opera di Sabbagh si situa nel territorio indistinto tra me e l'altro, creando un continuo cortocircuito della coscienza mossa sul limite di un noi, prossimo ma possibile. è come se la necessaria intimità, erotica e impudica, che egli stabilisce con l'oggetto ritratto ci sfidasse sul terreno di un'umanità dimenticata, in un continuo tentativo di risarcimento. Un invito a riconoscerci per quello che siamo realmente. Le sue fotografie non raccontano; espongono e presentano, in un'ostensione che ha la forza assertiva di un enunciato senza incisi. Tutto si chiarisce nella consapevolezza che le fotografie di Sabbagh nascono per un luogo ben preciso: il museo - inteso esso non solo come spazio consono ad accogliere tali icone, fiere e fragili allo stesso tempo, ma esattamente come dimensione concettuale, come topos epistemologico»


antonio mancinelli

«Sabbagh campiona e remixa, come un dj estetico, simboli e oggetti di una cultura di cui confonde codici visuali e destinazioni d'uso. Un'estetica cruda e brutale che reinventa il corpo, lo esalta, o gli dà una nuova cornice. Manda così nel mondo soggetti mostruosi, neri, enigmatici, inquietanti, grotteschi, pronti per una passerella dell'inconscio. Soggetti-oggetti che ridefiniscono la relazione tra essere e apparire, per approdare a una definitiva uguaglianza di senso, dove la forma equivale alla sostanza. Mandando all'inferno qualsiasi codice estetico codificato, l'artista rimanda a un mondo mitico, macabro, sorprendente: ovvero tutto ciò che la sua arte è destinata a voler suscitare»


leoluca orlando

«La città di Palermo accoglie Mustafa Sabbagh a ZAC, riconoscendo in lui un comune codice genetico: quello di un funambolo che, non dimenticando il rischio della caduta, vuole imparare a volare, ed imparare a farlo attraverso il linguaggio a lui più congeniale: l'arte. Oggi più che mai abbiamo bisogno di ricollegare le nostre radici alle ali. Tenere ferma la consapevolezza nei confronti della nostra storia, delle nostre tradizioni e della nostra cultura pur coltivando l'ambizione a volare, attraverso l'accoglienza ed il coraggio di scegliere la propria identità. è questo l'atto supremo di libertà che, nell'opera di Mustafa Sabbagh, trova piena e matura espressione artistica»


giulia pedace

«Questa compulsiva ricerca dell'autenticità, sul piano tecnico è condotta attraverso una vera e propria "azione", un processo che sancisce una relazione forte e imprescindibile tra artista e soggetto ritratto, tra nero e bianco, essenza e forma. Un processo che avviene in un rapporto di correlatività, opposizione per la quale ciascuno dei due termini opposti sussiste e ha significato solo se può essere messo in relazione simultanea con l'altro. Dal nero lentamente emerge il sensibile, l'immagine latente, pura emanazione luminosa, proprio come avveniva nel processo di riproduzione fotografica analogica. Un lento e autentico sviluppo performativo che, nella ricerca di Mustafa Sabbagh, si conclude sempre in un unico, decisivo e mai ripensato click»


antonella purpura

«Nelle azioni artistiche di Mustafa Sabbagh vi è la forza di una multiculturalità incorporata, per nascita e formazione, che trova riscontri e apertura nella secolare multiculturalità siciliana. I dialoghi tra le culture, e tra le culture e il tempo, avvengono sempre attraverso i soggetti umani a partire da nudità, svelate o coperte - e pertanto, attraverso i relativi processi di vestizione e svestizione che prendono forma mediante la manipolazione di figurazioni appartenenti a un comune passato, rilette in chiave contemporanea. Il suo lavoro può risultare sarcastico e/o erotico, una sfida alla morale imposta (e quindi condivisa), una polemica aperta contro i pregiudizi, di ogni ordine e grado; ma gli esiti sono estetici - nel senso di costruzione di nuove forme di bellezza e armonia, eredi comunque della classicità»


davide sarchioni

«Sabbagh è l'alchimista che, attingendo dalla vita reale, compone e reinventa continuamente frammenti allucinati di realtà per svelarne l'essenza più profonda, oltre i pregiudizi e le apparenze della quotidianità, nella compulsiva e vitale ricerca della verità. Di fronte ai suoi lavori cadono i tabù e le convenzioni sociali e ci si ritrova nudi, spogliati delle maschere sociali (invisibili tanto quanto mistificanti), dei travestimenti e di tutti gli orpelli di cui ci si serve per nascondersi, soli con i propri desideri e le proprie paure, con le proprie manie, smanie e perversioni, di fronte ad un'immagine che, in fondo, si pone quale autentico e naturale riflesso di noi stessi»


fabiola triolo

«Archetipi della storia dell'arte - fiamminghi e rinascimentali in primis - abbandonano studioli e cappelle votive per frequentare alberghi ad ore, periferie suburbane, chat room e dark room, nuovi luoghi di aggregazione sacra e culto profano. La luce è quella intimamente persuasiva della fiammella di una sola candela, accesa da Caravaggio nel suo Narciso e tenuta in vita dal Narcissus di Benczúr Gyula e dal Barry Lyndon di Stanley Kubrick. I colori sono freddi, composti, immersi in un luogo senza rumore, se non quello del nostro stesso alterato respiro. La raffinata ossatura scenica, della quale Sabbagh è maestro nella composizione, è figlia di un eclettismo culturale sporco della più profonda, e più inconscia, introspezione, che si fa scudo delle sue stesse paure per stanarle, puntare loro il flash addosso e smascherarle»


peter weiermair

«Chi conosce l'intero corpus artistico di Sabbagh non può che essere stato catturato dalla sua toccante intimità, dalla sua sensualità, che l'artista proietta non solo sul corpo umano, ma sulla stessa natura umana nel suo insieme. Uno degli stilemi che lo contraddistingue, e di cui è possibile scorgere un maturo sviluppo nell'arco del suo percorso artistico, è la creazione di dittici: due immagini costruite in correlazione, che insieme suggeriscono una narrazione. Il compito di creare tra loro un legame emotivo, di qualunque natura esso si tratti, è affidato a chi le osserva. La postura dell'effigiato a sinistra, influenza l'interpretazione del paesaggio - e della sua atmosfera - a destra. è attraverso questo riconoscibilissimo impiego del topos classico del Doppelgänger che, a mio avviso, Sabbagh ha marchiato a fuoco, con uno dei suoi maturi sigilli artistici, il campo della fotografia contemporanea»


"uno schizofrenico non dimentica.
uno schizofrenico accumula"

mustafa sabbagh




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